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Il ritorno dell'orso bruno
dell'appennino
Camoscio:
una gradita sorpresa
nell’area faunistica
di Bolognola
La presenza storica
dell’orso sui Monti Sibillini
Notizie in breve
La presenza storica dell'orso sui Monti Sibillini

Da sempre l’orso è profondamente presente nell’immaginario collettivo,
ispiratore di miti e leggende,favole, toponimi e rituali che ritroviamo anche
negli scritti del passato.
Nelle “montagne di Lionessa ,Cantalice, Norcia ,Civita Ducale,
Civita Reale, d’Introdoco (...) fra le giogaje (…) vivevano (…) orsi,
colle pelli de’ quali si faceva fiera mostra i soldati di quelle regioni”
.
Così scriveva Michele Torcia nel 1783 a proposito degli antichi popoli
Umbri ed Equi.
Padre fortunato Ciucci monaco benedettino nel 1650 in un manoscritto
dal titolo Istorie della Città di Norcia attesta che i giovani nursini si
dilettavano alla caccia degli orsi e dei lupi come i loro antenati.
Ad alimentare il mito ancora il Ciucci scrive “non di meno vogliono
alcuni fosse detta Norsia da un orsa,che i suoi primi fondatori pigliarono
in questo luogo per via di un oracolo di fortuna che ivi si adorava”.

A parziale conforto di questa affascinante tesi è interessante il
ritrovamento durante i lavori di scavo effettuati a Norcia nel 1992 presso
le mura, di un rilievo fittile raffigurante l’impronta di un orso risalente al
I sec. d.c.
Sono numerosi i racconti che hanno per protagonisti gli animali e i santi:
S.Fiorenzo, eremita nei pressi dell’abbazia di S.Eutizio, rende mansueto
l’orso che gli pascolerà le pecore; la fiera soggiogata sta a rappresentare
la sottomissione della natura selvaggia al potere divino attraverso
l’uomo, suo referente terreno. Stessa sorte per l’orso di S.Montano
nella Chiesa di Todiano: in questo caso lo troviamo su di un dipinto
(attualmente al museo civico di Spoleto) attaccato all’aratro che solca
i campi. La presenza dell’orso sui Monti Sibillini è ulteriormente
testimoniata, oltre che da numerosi toponimi scomparsi dalle cartografie
recenti, dalle evidenze storiche riportate nei secoli dai vari autori.
Il 16 luglio del 1514 il consiglio di Castelsantangelo sul Nera, in onore
di Giovanni Maria Varano, delibera una caccia all’orso e sempre nel 1500
il Peranzoni, nel suo “De Laudibus Piceni” riferisce della presenza
di “Immanes Ursi” sui monti del Piceno. Nel 1563 i frati abbandonano
l’eremo di S.Leonardo perché per più di cinque mesi l’anno vi giace
la neve ..vi si aggirano i lupi, orsi ed altre belve selvagge
(così annota
il 16 marzo 1746 il pievano Marcantonio Nardi di Montefortino al cardinale
Alessandro Borgia) . In una relazione del 1587 Innocenzo Malvasia
commissario apostolico in visita alla prefettura della Montagna di Norcia
riferisce che i nobili norcini cacciavano gli orsi e appendevano le teste
nei saloni dei palazzi come trofei di caccia. Per i danni che a volte
provocava al bestiame domestico gli statuti comunali di Bolognola
nel 1654 prevedevano un compenso di tre scudi a chi avesse ucciso
un orso. Anche nelle espressioni artistiche l’orso è protagonista: in un
dipinto presso la sede comunale di Visso lo troviamo in posizione
rampante ambientato nella valle dell’infernaccio su di una tela del 1750,
nella scena di caccia nella bellissima stanza del Paradiso al Palazzo
Pallotta di Caldarola realizzata nel 1598, sempre nello stesso edificio,
l’orso è raffigurato in una sorta di paradiso pagano con il lupo, il cervo
e il camoscio, tipici rappresentanti della fauna dell’Appennino, insieme
a specie prevalentemente esotiche. Nella Battaglia del Pian Perduto
(poemetto “allegorico” scritto alla fine del 1600) così si accenna all’orso

Di primo pelo c’era il giovinetto del conte di
Castelsantangelo,
chiamato Buzio
bello pulito e di feroce aspetto
che armava lo spadin di Berrettuzio
era questo di acciar così perfetto
che una volta il suo nonno Corraduzio
a tre orsi che gian per la foresta
con un sol colpo troncò via la testa.

L’orso diviene nel XV secolo anche oggetto di curiose regalie:
il Governatore di Todi, che si era molto speso per la Città di Spoleto,
regalò a questi un’orso; il dono fu tanto gradito che il Ducato decise
di mantenere l’orso a proprie spese.
Numerose le storie che hanno per protagonista l’orso nel territorio
sibillino per il diciottesimo secolo: una è riferita al 29 giugno del 1750
quando furono uccisi due orsi da Diodato Antonelli nella foresta di
M.Costa Comune ad Opagna nel Casciano.
Le continue trasformazioni ambientali, i disboscamenti, le armi da fuoco
contribuiscono in maniera determinante alla rarefazione del plantigrado;
infatti, l’abate Giuseppe Colucci, nel 1795 annota che “Non sono poi
comuni gli orsi dei quali ne viene qualcheduno, ma ben di rado, dalle più
alpestri montagne del contermine regno di Napoli”
. Il quadro finale si
delinea nel secolo successivo quando gli ultimi rappresentanti della
famiglia ursina vengono inesorabilmente eliminati dal panorama faunistico
dei Monti Sibillini e il contadino Luigi Poli, tra il 1825 e il 1850, doveva
difendere i suoi meli e i suoi peri dai saccheggi dovuti alla ormai rara
presenza dello “urso” sui Monti della Valnerina, mentre l’ultima
testimonianza di un uccisione la troviamo su di una Guida di Camerino
scritta nel 1954 da Anna Maria Aringoli Herbst, che attesta l’ uccisione,
avvenuta nel 1870 a Statte, frazione di Camerino, dell”ultimo” orso bruno
della zona. Ed infine il Ricci che nel 1925 afferma “L’orso che nella prima
meta del secolo scorso era ancora sui Sibillini è ora affatto scomparso
ricacciato verso sud, cioè negli acrocori dell’abruzzo”.

Massimo Dell'Orso e Paolo Forconi


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