"I popoli più antichi d'Italia"
Un viaggio interessante alla scoperta delle origini e della storia
degli antichi abitanti dei Sibillini. Un viaggio alla scoperta di una
identità culturale per inserirsi nel tessuto vivo della civiltà europea.
di Mariangela Turchetti

“Gens antiquissima Italiae” definiva lo storico latino Plinio il Vecchio gli
Umbri, chiamati “Ombroi” dai greci per essere sopravvissuti alle piogge del
diluvio.... Le fonti tramandano che in tempi antichissimi Umbri e Sabini
erano un’unica grande stirpe da cui presero origine nuove entità etniche
attraverso l’uso di rituali di fondazione chiamati “Ver Sacrum” (Primavera
Sacra). A Primavera infatti ad un gruppo di giovani veniva dato il compito di
andare a costituire una nuova città. Secondo gli storici romani progenitori di
tutti i Piceni sono i Sabini o Safini del Lazio e dell’Abruzzo settentrionale,
che inviarono un gruppo di giovani a nord del Tronto.
All’interno dei confini amministrativi del Parco dei Monti Sibillini
nell’antichità si svilupparono la civiltà sabina e picena, lo spartiacque
proprio la poderosa catena dei Sibillini.
Su queste civiltà si è concentrata l’attenzione degli studiosi per definire con
più precisione cronologia, caratteri, scambi e commerci, insomma l’identikit
più esauriente possibile dei due popoli.
Come per la maggior parte delle popolazioni dell’Italia antica, scarse sono
le informazioni sugli abitati, sia perché ad oggi poco esplorati sia per l’ovvia
considerazione che strutture in materiale deperibile come capanne di
paglia, palizzate in legno, acciottolati di pietre e muri a secco si conservano
in tracce minime e sono difficilmente individuabili.
A Matelica capanne indagate di recente (X-VIII sec. a.C.), rivelano
l’esistenza di un villaggio organizzato, con ampi spazi liberi per il lavoro,
gli animali e la vita quotidiana, costeggiante un piccolo corso d’acqua.
A Norcia, in loc. Campo Boario, è stato rinvenuto un villaggio (seconda
metà IX sec. a.C.-inizi VIII sec. a.C.) con capanne più piccole, rettangolari,
con pavimento ribassato rispetto al terreno circostante, tetto stramineo.
La ceramica ci informa delle attività quotidiane della preparazione, cottura
e immagazzinamento di cibo, macine in pietra attestano la triturazione dei
cereali per farne farina per pappe e focacce, è documentata la tessitura
familiare per il ritrovamento di piccole fuseruole in terracotta che servivano
per imprimere un movimento rotatorio regolare al fuso quando si cardava la
lana. Stando alle ossa animali si allevava e mangiava capre, pecore,
maiali, buoi; il cane era già impiegato nelle famiglie probabilmente per
accudire il gregge.
Nel VII-VI sec. a.C. le capanne si coprono di un tetto in tegole e coppi.
Le fonti storiografiche parlano di città stato a regime repubblicano
organizzate in sistemi fortificati di altura (castellieri) recinte da un agger
(terreno di riporto derivante dallo scavo di un fossato) e da un fossato.
Certo è - stando ai nostri dati attuali - che piceni e sabini non costruirono
palazzi e templi, non possedettero cioè un architettura monumentale se
non forse nelle necropoli che, specialmente in area picena, erano
strutturate in grandi tumuli adorni di lapidi e statue con grandi strade
lastricate che le attraversavano e che forse le collegavano ai vicini centri
abitati. Le tombe sono costituite da fosse rettangolari più o meno ampie,
in ambito piceno, perimetrate da circoli di pietre all’interno dei quali era
sopraelevato un tumulo di terra spesso coronato da una lapide o da una
statua rappresentante il defunto.
Ricchissimi i corredi che accompagnavano, all’interno della fossa,
l’inumato, in genere supino, con vasellame metallico e ceramico, armi e
gioielli in oro, argento, bronzo, ferro, ambra, avorio, osso, pasta vitrea,
simbolo ed ostentazione, al pari del tumulo tombale, di un elevato stato
sociale. All’interno di estese necropoli le tombe dovevano essere riunite
per nuclei familiari e, nell’ambito della famiglia, anche i bambini e le donne
avevano la loro importanza, sepolti infatti spesso con ricchi corredi.
I corredi denotano una fitta rete di commerci nell’ambito del Mediterraneo,
resa possibile dai collegamenti via mare o attraverso gli antichi tratturi
appenninici legati al fenomeno della pastura e della transumanza.
L’ambra dal Baltico arrivava grezza nel Piceno e qui veniva lavorata per farne
gioielli che circolavano poi fino in Etruria: forse giungevano in loco anche
maestranze etrusche che mettevano a disposizione la loro perizia per i
gusti raffinati e un po’ barocchi dei principi piceni. Dall’Etruria Piceni e
Sabini acquistarono vasellame bronzeo e ceramico, armi e gioielli e
copiarono localmente gli oggetti importati ispirandosi ad essi per produrre
forme a loro volta originali. Dal mare giunse la splendida ceramica greca.
Necropoli ed abitati ci informano delle abitudini alimentari di Piceni e Sabini.
Graticole, spiedi e alari in ferro, rinvenuti nelle tombe, servivano per arrostire
la carne, i grandi calderoni in bronzo per bollirla. Oltre ai prodotti della
cacciagione, soprattutto il gregge costituiva una fonte di ricchezza.
Accanto alla lana e alla carne, latticini e formaggi dovevano essere presenti
quotidianamente in tavola: le capanne hanno restituito bollitoi, le tombe
grattugie, segno che di sicuro esisteva il pecorino. Prezioso il vasellame
per il vino, denso e forte tanto da non essere bevuto puro ma mescolato
nei crateri con l’acqua e versato con le brocche nelle coppe.
La ricchezza delle suppellettili non ci autorizza a pensare comunque ad
un benessere generalizzato: sono le tombe dei ricchi a restituire materiali
preziosi; ai poveri bastava poco più che la nuda terra come sepoltura e in
genere la loro vita non ha lasciato traccia.
I corredi funebri rivelano una società guerriera che praticava la guerra a
scopo di difesa ma anche per arricchirsi, come razzia: celebre il guerriero
piceno di Capestrano, sull’altipiano aquilano. E’ la statua di un re, Nevio
Pompuedio, così ci informa l’iscrizione incisa sul pilastrino che sorregge
la statua. In origine la statua si ergeva in cima al tumulo sepolcrale del re.
Il guerriero è armato di tutto punto: al collo, così come il principe guerriero
sabino di Norcia, una bulla, un piccolo pendente circolare cavo che
conteneva amuleti, tenuto fin dalla nascita appeso come porta fortuna.
Statue come quella di Capestrano fanno supporre un culto dedicato ai capi,
cui si riservavano certamente riti funebri sontuosi al momento della
sepoltura. I vasi deposti insieme al morto alludono ad offerte di cibo e
bevande per garantirne la vita nell’oltretomba, così come per propiziarsi le
divinità infere. Spesso sono incisi con simboli, talvolta resi plasticamente,
allusivi delle credenze religiose dei due popoli.
Significativo è l’uso frequente del cavallo, personificazione, fin dall’età del
Bronzo, di potenza e maestà, ma anche di equilibrio perché si lascia
dominare vincendo il suo istinto selvaggio. Il cavallo è legato al culto del
sole perché ne trasporta il carro sulla volta del cielo e all’uomo con il quale
vince o perde in battaglia sia che lo traini su carro sia che lo porti sulla
groppa. Splendida nella sua ingenua incisività, la raffigurazione graffita su
una brocca in bucchero degli inizi del VI sec. a.C. proveniente dalla tomba
di un principe guerriero di Norcia: raffigura probabilmente il “signore dei
cavalli” simbolo ampiamente diffuso anche in ambito piceno.
Tra la fine del VI e il V sec. a.C. si diffonde l’uso della stipe votiva (cioè di
fosse o sacelli scavate nel terreno in cui si depositavano offerte alle divinità)
spesso con bronzetti, talvolta in forma umana, che raffigurano sia devoti
offerenti che divinità, rifacendosi anche a quelle del mondo greco-romano.
All’interno del Parco, il santuario di Ancarano di Norcia ha restituito tracce
labili di strutture terrazzate su cui si ergevano edifici utilizzati come impianti
abitativi e per il culto. Ricca la stipe votiva, con bronzetti raffiguranti guerrieri
muniti di elmo, lancia e corazza (Marte ?) e figurine di offerenti maschili e
femminili e animali. Il luogo si prestava alla riunione di popolazioni per
mercati, festività e occasioni sociali offerte dalla transumanza, proprio al
limite tra due vallate ben coltivabili, in una zona di valico, incrocio di
collegamenti volti sia verso Camerino che verso Ascoli.
In una società che sta sviluppando ordinamenti di tipo repubblicano, il culto
è forse ora collettivo e il divino, non più racchiuso nelle forme simboliche di
animali e astri, ha assunto forma umana.
Le società Picena e Sabina nel corso del IV sec. a.C. e soprattutto agli
inizi del III sec. a.C. si avviano a scomparire: responsabili i romani e,
nel caso dei Piceni, prima ancora i Galli. La conquista romana della Sabina
risale al 290 a.C., al 268 quella del Piceno. I romani riorganizzarono
sistematicamente territorio e città mediante la centuriazione e la fondazione
di colonie e municipi. Nel territorio sabino che rimane all’interno degli attuali
limiti del Parco, nonostante diversi fossero i centri preromani importanti
(Monteleone, Cascia, Norcia), solo Norcia rimane una realtà di rilievo,
divenendo, dopo la guerra sociale, Municipio e sviluppando e regolarizzando
il proprio assetto urbano, come dimostrano sia le ricche necropoli rinvenute
attorno alla città (recentissima è la scoperta di oltre 100 tombe nel piano
di S.Scolastica) sia le imponenti strutture romane superstiti all’interno
delle mura.
Sabini e Piceni vengono dunque progressivamente assorbiti, e perdono i
loro connotati, da una potenza militare interessata al controllo delle vie di
comunicazione e allo sfruttamento delle risorse umane ed economiche.
All’interno del Parco Nazionale dei Monti Sibillini è possibile ripercorrere
idealmente le tappe di questo affascinante percorso storico: per saperne di
più è fondamentale la visita alle mostre permanenti, a Norcia presso il
Criptoportico Romano di Porta Ascolana (tel. 0743/817030, visite guidate
su prenotazione) e ad Ascoli Piceno (“Ausculum caput gentis” e “I Piceni
di Colle Vaccaro”, presso il Museo Archeologico, tel. 0736/253562).
Ricordiamo, inoltre, che a Roma, presso la Galleria Nazionale d’arte Antica
di Palazzo Barberini, fino al 1 luglio 2001 è possibile visitare la mostra “Eroi
e Regine – Piceni popolo d’Europa” che rappresenta l’evento culturale della
primavera e dell’estate romana.

Il passaggio del millennio
Il Parco dei Sibillini
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Alla ricerca dell’arte e ...
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“Giovani nelle aree protette”
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Progetto agricoltura
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