Il realismo dell’utopia
Dieci anni di Parco
Sulle orme di San Benedetto
Un Parco per l’Europa
La nuova gestione
delle Case del Parco
Aperto al pubblico il Centro
di Documentazione
della Mediateca dei Sibillini
La Carta Europea
del Turismo Sostenibile
Il Piano di interpretazione ambientale
Un progetto per
l’agricoltura sostenibile
L’agricoltura biologica
La reintroduzione
del pino mugo
e dell’abete bianco
Un premio d’oro
per la biodiversità
Il lupo nel Parco Nazionale
dei Monti Sibillini
Criteri per la protezione
del bestiame domestico
Un Parco per tutti:
il sogno diventa realtà
La sentieristica del Parco
I calendari del Parco
I quaderni scientifico-divulgativi
Notizie in breve
L’educazione ambientale
per ogni stagione
Amandola: l’isola inglese
Pievebovigliana:
il restauro di Palazzo Fani
Interventi del Parco
Dieci anni di progetti in sintesi
Sibillina e Berenice
La reintroduzione del pino mugo
e dell’abete bianco

Nei monti Sibillini il patrimonio ovino ha, da sempre, costituito l’elemento
fondamentale dell’economia locale: una importante risorsa, che seppur
ha contribuito a modellare, nel corso dei secoli, un paesaggio di assoluta
bellezza, d’altra parte ha determinato, con l’ampliamento delle aree
pascolive l’eliminazione sistematica, avvenuta in circa duemila anni
di attività, della fascia ad arbusti contorti che era posta al di sopra della
faggeta. Un ambiente, questo, assai fragile e delicato in cui, fra le altre
specie, era presente anche il pino mugo, così come è stato confermato
dalle diverse analisi polliniche effettuate nei depositi finora esaminati per
l'Appennino Umbro-Marchigiano e come si può osservare nei massicci
montuosi della Maiella e della Camosciara in Abruzzo, ove alla faggeta
segue la mugheta. Non solo, ma nei Sibillini era anche presente l’abete
bianco che, nelle Marche risulta oramai essere rinvenibile unicamente
a Bocca Trabaria nel pesarese e nella Valle della Corte, sui Monti
della Laga.
Negli ultimi decenni però si è registrata una progressiva rinaturalizzazione
di quegli antichi paesaggi umanizzati che, tanto lentamente quanto
inesorabilmente, a meno di eventuali quanto economicamente
improponibili interventi esterni, stanno sviluppando verso nuovi assetti
ed equilibri naturali. I segnali di questa ripresa della natura sono
particolarmente evidenti sui versanti erbosi, soggetti in passato ad intense
attività di pascolo e sugli antichi terreni una volta coltivati, dove sono
comparsi il ginepro rosso, l’acero campestre, il maggiociondolo od altre
specie, addirittura arboree, come la roverella ed il faggio (processo della
successione secondaria).
Il Parco Nazionale dei Monti Sibillini, nel seguire lo sviluppo di tali
processi naturali, ha voluto assumere, in alcuni casi particolarmente
importanti, la funzione di elemento catalizzatore proprio per favorire il
determinarsi di nuovi equilibri che altrimenti, senza alcun intervento
esterno, avrebbero richiesto tempi assai più lunghi. Fra questi,
la reintroduzione del pino mugo e dell’abete bianco: due progetti che
sono stati peraltro avviati sin dagli inizi degli anni ’90, quando l’Ufficio
Parchi e Riserve Naturali della Regione Marche promosse, con
l’assistenza del Coordinamento Provinciale del Corpo Forestale di Ascoli
Piceno, un progetto per la realizzazione di una Banca di Germoplasma,
presso il Vivaio Forestale di Amandola, proprio con il compito di favorire
la riproduzione (ex-situ) delle specie presenti nel territorio dei monti
Sibillini o comunque da reintrodurre nell’area, come appunto l’abete
bianco ed il pino mugo.
I semi di queste due specie sono stati così raccolti, rispettivamente,
nei massicci dei Monti della Laga e della Maiella e quindi seminati in
fitocelle sterili grazie al Parco Nazionale dei Monti Sibillini, che con
i fondi di cui all’Obiettivo 5B), ha provveduto anche all’ elaborazione di
un progetto per la concreta reintroduzione delle due specie.
È stata così individuata la località idonea alla reintroduzione, ovvero l’alta
Valle dell’Ambro che, oltre a essere foresta demaniale regionale ed
a presentare appropriate caratteristiche ambientali, garantiva, in termini
gestionali, possibilità operative particolarmente convenienti. L’inizio dei
lavori per la reintroduzione delle due specie ha preso avvio l’8 ottobre
1999: sono state così predisposte da una cooperativa locale, in maniera
non geometrica, le buche d’impianto necessarie, ciascuna della
dimensione di 30x30x30 cm. Quindi sono state poste a dimora circa
1.750 piantine di pino mugo unitamente ad altre 650 di abete bianco,
oltre ad altre specie come il maggiociondolo (Laburnum alpinum), la
frangola (Rhamnus alpina), il sorbo montano (Sorbus aria), l’uva ursina
(Arctostaphylos uva-ursi), ecc.
Le pianticelle, tutte in fitocella sono state disposte a dimora, su una
superficie totale di 3,25.00 ha, in tre diverse zone della valle, denominate
rispettivamente:
• La Pescolla, ovvero sul versante esposto a sud del Monte Castel
Manardo (1917 m) ad un’altezza di circa 1500 m.;
• Casale Rinaldi, ai piedi del Pizzo Berro (2259 m) e del Pizzo Tre
Vescovi (2092 m) ad un’altezza di circa 1600 m e con esposizione nord;
• Ara della Regina, sita ai piedi del M. Priora con esposizione nord e
ad un’altitudine di circa 1400 m.
L’operazione, con la quale si è voluto avviare un processo di progressiva
colonizzazione di queste due specie nei Sibillini, sarà sviluppata nei
prossimi anni anche in considerazione della necessità di effettuare i
dovuti risarcimenti. Certamente questo intervento, unitamente ad altri che
il Parco intende avviare, come ad esempio la reintroduzione del
camoscio appenninico (Rupicapra pyrenaica ornata), potrà costituire
anche un’ importante occasione per la riqualificazione naturalistica del
territorio e quindi favorire una valorizzazione attenta ed ecologicamente
responsabile dell’intera catena dei monti Sibillini.

Alfredo Fermanelli


I numeri pubblicati home