Per il Parco una nuova sfida
Al via l’ abbattimento selettivo con 87 operatori abilitati
di Maura Gallenzi

Si sta svolgendo nel Parco Nazionale dei Monti Sibillini un esperimento
destinato a trasformare l’approccio alla gestione della fauna selvatica in
un’area protetta.
Si tratta dell’abbattimento selettivo del cinghiale, ovvero la progressiva
riduzione di questi animali, che oggi costituiscono uno dei problemi più
sentiti in tutta Italia e quindi anche nella zona dei Sibillini, per i danni che
causano al sistema naturale e a quello agricolo (che per le sue
caratteristiche millenarie costituisce un agrosistema perfettamente
integrato nella natura); per i problemi di ordine sanitario legati alla presenza
di malattie che si possono trasmettere agli animali domestici e anche
all’uomo; per i pericoli di ordine genetico determinati dalla frequente
ibridazione con i maiali.
Un problema che l’Ente Parco ha iniziato ad affrontare fin dalla sua
costituzione e che oggi entra in una fase cruciale.
Circa cento cacciatori, quasi tutti residenti nel Parco, hanno partecipato ad
una complessa e non facile fase di formazione. Divisi in tre gruppi hanno
seguito un ciclo completo di lezioni teoriche con esame finale; dopo di ciò
hanno partecipato alle prove di tiro e al successivo tirocinio sul campo:
sono state infatti organizzate fino a dieci “uscite” giornaliere all’interno del
Parco per ciascuno dei partecipanti, dotato di carabina con ottica,
accompagnato da una Guardia forestale, da uno zoologo e da un esperto
in funzione di tutore.
Ottantasette cacciatori hanno superato il tirocinio e sono stati abilitati e
iscritti nell’Albo degli operatori di selezione (specie cinghiale) del Parco
Nazionale dei Monti Sibillini.
Da quel momento è entrato nel vivo il progetto-cinghiale che riguarda sia
l’abbattimento selettivo - così come previsto dalla legge quadro sulle aree
protette del 1991 (L. n. 394) - sia il trappolamento. L’abbattimento selettivo
è cosa molto diversa dalla caccia puramente intesa e soprattutto agli
antipodi con il sistema di caccia che per secoli è stato adottato: si tratta
di un’azione tecnico-faunistica di tipo “chirurgico”.
“La caccia al cinghiale - spiega il Prof. Bernardino Ragni, docente
dell’Università di Perugia, coordinatore del progetto-cinghiale nei
Sibillini - viene svolta con le cosiddette “battute” e “braccate” formate
da numerosi uomini e cani. I cinghiali vengono abbattuti senza alcuna
selezione e, inoltre, l’ambiente subisce uno stress e una alterazione
notevoli. Quello che invece iniziamo a sperimentare all’interno del Parco
dei Sibillini è una caccia di selezione, finora adottata solo in alcune zone
dell’Europa settentrionale”.
Si tratta di una fase sperimentale che costituisce il fondamentale passaggio
di un percorso iniziato dal 1994. “Quando l’Ente Parco si è rivolto
all’Università di Perugia per avviare a soluzione il problema dei
cinghiali - dice ancora il Prof. Ragni - abbiamo dapprima effettuato una
analisi della situazione della popolazione dei cinghiali che, seppure
forzatamente molto rapida per l’urgenza del problema, ha evidenziato che
il cinghiale poteva effettivamente causare uno squilibrio ecologico
nell’ambiente dei Sibillini. Dopo questa parte analitica, nel ‘96, è stato
effettuato un primo prelievo selettivo sperimentale di cento capi in alcune
aree campione con la collaborazione di cacciatori locali. Poi è stato
promosso il corso per l’abilitazione all’abbattimento selettivo”.
Un’operazione tecnica ma anche culturale, realizzata in un contesto difficile
come quello della caccia, tradizionalmente ostile alle aree protette e poco
disposto a mutare antiche abitudini. Oggi però i cacciatori coinvolti nel
progetto costituiscono una importante realtà che collabora con entusiasmo
e professionalità all’azione del Parco.
I detrattori erano e sono molti. “Ci accusano di fare caccia nel Parco - dice
il Prof. Ragni - e anche di scarsa efficacia del sistema, ma già la prima
operazione effettuata nel ‘96 ha dimostrato il contrario”. La nuova fase
avviata su tutto il territorio del Parco in questi mesi è un banco di prova
importante ed è guardata con attenzione sia dal mondo scientifico che dalle
popolazioni locali. Il problema cinghiali è scottante anche sul piano
politico-strategico e non di rado è stato utilizzato strumentalmente per
contrastare l’azione del Parco.
Il Prof. Ragni non nasconde i problemi, ma si dichiara ottimista sulla
riuscita. L’obiettivo finale è quello di riuscire a prelevare mille cinghiali l’anno
per ottenere in cinque anni una drastica riduzione complessiva della
popolazione, che oggi si calcola presente nell’area protetta in circa 4.000
capi, e inoltre per selezionare in futuro un cinghiale di dimensioni più
piccole di quelle attuali, sano e “puro” da ibridazioni con il maiale.
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