Acqua: per una
strategia condivisa
Sorella acqua
Al via il progetto
per il “Museo dell’acqua”
L’acqua per la pace
Le marcite di Norcia,
simbolo di antiche tradizioni
L’acqua da salvare
L’Anno europeo delle
persone con disabilità
Una speranza accessibile
Foce: come coniugare turismo
e conservazione ambientale
Il Corpo Forestale
nella Valle del Lago di Pilato
Il camoscio appenninico
a Bolognola
La gestione del cinghiale
nel Parco
Il Lago di Fiastra: un serbatoio
di energia preziosa
Depurare con le piante
Ad Acquacanina inizia
la stagione dello sci di fondo
Comune di Preci, un museo
per la scuola chirurgica
Fiastra : nuova sede
per il CEA Valle del Fiastrone
A Norcia la prima Cooperativa
certificata ISO 9001:2000
Incendi e abusi,
una strategia studiata
Il nuovo bando per la gestione
delle Case del Parco
Pedalando nel Parco
I bandi di prossima uscita
Dichiarazione di Norcia
Le marcite di Norcia, simbolo di antiche tradizioni
di Natalia Severini

Se dovessimo dare una spiegazione al significato “marcita” diremo
che è una pratica colturale tipica della Pianura Padana e messa in atto
dai monaci di Viboldone nel XIII sec..
Oltre alla marcita lombarda più conosciuta, c’è quella di Norcia di
dimensioni notevolmente ridotte. Quest’ultima è situata nell’area
di minima quota della Piana di Santa Scolastica dove scorre il fiume
Sordo e occupa una superficie di 70 - 100 ha dell’intero piano. Prima
ancora di essere una marcita, questa zona era una palude che i monaci
benedettini, nel medioevo, attraverso un’opera di bonifica, hanno
trasformato in marcita e quindi resa fertile. C’è anche però chi sostiene
che la marcita di Norcia è stata realizzata nel VI secolo d. C. ed è quindi
precedente a quella Lombarda, ipotesi che porterebbe a considerare la
marcita di Norcia, come la prima d’Italia. Sull’origine del nome “marcita”
ci sono diversi pareri, ma l’ipotesi più certa, secondo gli studiosi, pare sia
quella che fa derivare il significato da un’antica pratica agreste che
consisteva nel far marcire sui prati irrigui, durante il periodo invernale,
l’ultimo taglio di fieno annuale, cioè quello di settembre - ottobre, allo
scopo di arricchirlo di sostanza organica. Ciò permette una crescita
anticipata dell’erba e la possibilità di ottenere fino a dieci raccolti all’anno.
Il lavoro e l’ingegno dei monaci è stato fondamentale, ma tutto questo non
sarebbe stato possibile senza le caratteristiche ambientali di questo
territorio. È qui infatti, in questa zona del piano denominata Freddara,
antico nome del fiume Sordo, che si incontrano numerose sorgive ossia
acque che, grazie ad un terreno molto permeabile e attraverso dei canali
idrografici sotterranei, scompaiono infiltrandosi nel terreno e riaffiorano in
superficie.
Caratteristica delle sorgive è una temperatura costante compresa tra
i 6 e i 12 gradi, condizione fondamentale per avere una produzione di
erba e di foraggio sia durante il periodo d’aridità estiva che d’inverno
con la neve.
Il lavoro dei benedettini è consistito nel creare una serie di canali artificiali
chiamati adacquatrici, sbarrati da paratoie di legno o “storcitoi”, che fanno
straripare l’acqua in modo che irrighi gli appezzamenti di terreno,
chiamate cortinelle, attraverso una serie di piccoli canali che rendono
omogeneo il flusso dell’acqua.
Temperatura costante e flusso omogeneo sono elementi indispensabili
per la sopravvivenza della marcita che altrimenti ritornerebbe una palude.
Se volessimo definire con due parole le marcite, diremo che sono una
serie di prati e corsi d’acqua delimitati da filari di pioppi cipressini, canne
di palude e salici, ma all’interno la vegetazione è molto più ricca di quanto
possa sembrare e molte sono le specie erbacee che popolano l’ambiente.
Questo paesaggio è stato per molto tempo un luogo di incontri,
di mestieri, di gente che andava e veniva; un luogo soggetto a scorrerie di
bande e a regolamentazioni comunali. È in questa zona ricca di acque
che tra il XIII e il XIV secolo, sono sorti numerosi mulini, piccoli borghi
fortificati, dove viveva il mugnaio con la propria famiglia, ma dove intorno
si raccoglievano anche molti artigiani e contadini.
I mulini delle marcite sono del tipo orizzontale (più rudimentali e antichi)
costituiti da una ruota motrice orizzontale, a pale o a cucchiai situata
in un vano seminterrato all'interno del mulino, ed un albero verticale che
attraversa una macina fissa e che trasmette direttamente il moto ad una
macina superiore.
I mulini a ruota orizzontale sono azionati dall’acqua proveniente da un
canale di derivazione e hanno bisogno per il loro funzionamento di una
quantità d’acqua decisamente limitata: questo è il motivo per cui si
costruivano soprattutto lungo i torrenti e i rii minori, consentendo tra l'altro,
costi di impianto e di manutenzione molto bassi.
La ricchezza dell’acqua utilizzata come fonte di energia, favoriva molte
attività che rendevano elevata la densità di popolazione in questo luogo.
Lungo il corso del fiume Sordo, durante il Medioevo, oltre ai mulini
ad acqua utilizzati per macinare grano, c’erano le gualchiere, delle
macchine tessili utilizzate per la lavorazione dei panni.
Durante la stagione molitoria, i mulini erano azionati giorno e notte e
quest’intensa attività richiedeva spesso l’intervento di fabbri, di falegnami
e muratori che garantivano una buona manutenzione degli ingranaggi e
dell’edificio stesso.
Lungo il fiume si pescavano trote e gamberi e sugli appezzamenti
di terreno i contadini falciavano i prati raccogliendo il fieno sul “Crinu”,
una cesta di vimini caricata sulla sella dell’asino. In queste acque
venivano i pastori a lavare le pecore e la lana. Qui si mettevano a stagnare
le bigonce e si macinava la canapa che poi veniva stesa sui campi a
seccare. Molti artigiani erano poi legati per necessità a queste attività.
C’era il cestaio, il maniscalco, il bastaio per le selle, l’arrotino e il
tornitore. Non va infine dimenticata l’attività delle donne che oltre a quella
domestica, della quale abbiamo testimonianza attraverso il Mulino
Cecconi (ora Museo della Civiltà Contadina), comprendeva anche
la filatura della lana.
Le marcite sono tra le aree individuate negli anni settanta come uno
dei biotopi più particolari d’Italia e la CEE le ha introdotte tra i 92 Siti
di interesse Comunitario. Per molto tempo sono state semiabbandonate,
ma ora è in corso un’opera di risanamento.


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