Una sfida alla crisi:
gli interventi programmatici
del Parco per il 2009
La Grande Via del Parco
diventa realtà
Turismo sostenibile:
una grande opportunità
per il territorio
Dalla primavera 2009
arriva la Parchicard
Grandi carnivori:
al via il progetto Life +
Il lupo e l’orso nel parco
Il primo censimento
al bramito del cervo
Rilasciato un esemplare
di gatto selvatico
Trota fario mediterranea:
un pesce da salvare
Il ritorno del camoscio:
un progetto strategico non
solo per la natura dei Sibillini
Tutti i dettagli di questa
importante reintroduzione
Vittorio Ducoli, direttore
del Parco d’Abbruzzo,
ci parla del progetto
Il recupero della biodiversità vegetale del parco
Franco Paolinelli firma
il calendario 2009
Le farfalle del parco
Il 140° anniversario
della Distilleria Varnelli
Risparmio energetico e fonti
rinnovabili nei rifugi del parco

Vittorio Ducoli, direttore del Parco d’Abruzzo,
ci parla del progetto

Abbiamo intervistato Vittorio Ducoli, direttore del Parco Nazionale
d’Abruzzo,Lazio e Molise da cui provengono i primi camosci appenninici
liberati a settembre nei monti Sibillini. Vittorio Ducoli, nato a Breno,
in provincia di Brescia, dirige lo storico Parco d’Abruzzo dal gennaio
del 2008; prima di trasferirsi a Pescasseroli è stato direttore, dal 1990
al 1995 e dal 2003 al 2008, del Parco regionale lombardo dell’Adamello
e, dal 1996 al 2003, del Parco nazionale delle Foreste Casentinesi,
monte Falterona e Campigna.
Gli chiediamo, innanzitutto, un commento sulle convulse giornate in cui
si sono svolte le operazioni di rilascio.
“Innanzitutto sono molto soddisfatto che si sia finalmente riusciti a far
appoggiare qualche zampa di camoscio appenninico nei monti Sibillini
dopo i problemi avuti negli scorsi anni. Queste sono operazioni
estremamente complesse e una certa dose di alea va sempre messa
in conto, a partire dalle condizioni meteo fino al fatto di avere
un contatto ravvicinato con gli animali, ma con gli animali giusti: stiamo
parlando di un progetto dalle precise connotazioni di carattere scientifico,
quindi non si potevano prelevare animali a caso ma bisognava rispettare
la suddivizione in sesso e in età. L’aver coordinato sul campo
l’indiscussa capacità tecnico – scientifica di Sandro Lovari e l’operatività
del Servizio di sorveglianza e del Servizio sanità e fauna – oltre che
del Servizio scientifico del Parco - ha finalmente dato i risultati che tutti
ci aspettavamo; magari non in termini numerici dal momento che un
po’ tutti speravamo di portare un numero più alto di animali già da questo
primo anno, ma tutto sommato c’è soddisfazione nell’essere riusciti
a costituire questo primo nucleo che è di buon auspicio per il
completamento delle operazioni.”.
Come si sono svolte le catture?
“Dal punto di vista operativo abbiamo lavorato, nell’arco di due
settimane, attraverso due squadre, composte, rispettivamente, da un
biologo e da un responsabile delle operazioni veterinarie; squadre
indipendenti l’una dall’altra ma strettamente collegate tra loro: da un parte
Sandro Lovari e Rosario Fico, dall’altra Roberta Latini e Leonardo
Gentile. Questo ci ha permesso di agire su entrambe i nuclei di camosci
presenti in Val di Rose, nuclei che normalmente si trovano su due
versanti diversi della vallata. Un apporto esenziale è stato dato
dall’Esercito che, mettendo a disposizione gli elicotteri, ha permesso
di trasportare celermente la maggior parte degli animali da un parco
all’altro, e dal Corpo Forestale dello Stato; tenete inoltre presente che
nel Parco d’Abruzzo abbiamo anche un nostro servizio di sorveglianza,
oltre a quello offerto dal Coordinamento Territoriale per l’Ambiente:
questo rende ancora più articolato il quadro delle collaborazioni.
Il giudizo finale su tutte le operazioni è, da parte mia, estremamente
positivo anche perché ha permesso di sperimentare un coordinamento
complessivo di molti soggetti che hanno, tutti, contribuito a portare
a casa questo risultato che ritengo, tutto sommato, aderente a quelle
che erano le aspettative, soprattutto dopo i problemi dell’anno scorso
e di due anni fa.”.
Lo stato di conservazione del camoscio in Abruzzo, soprattuto
dei nuclei storici della Val di Rose.

“Per quanto riguarda la specie in generale, dopo le reintroduzioni negli
altri parchi abruzzesi e adesso nei Sibillini, direi che abbiamo dato alla
specie un futuro sicuramente più certo di quanto fosse qualche decennio
fa – anche se possiamo affermare che, perlomeno negli ultimi trent’anni,
la specie non è stata a rischio. Però si trattava di una specie
estremamente localizzata e oggi ne abbiamo ampliato l’areale: il fatto
di avere delle meta-popolazioni separate è, già di per sé, garanzia
di conservazione della specie.
Per quanto riguarda la situazione all’interno del Parco Nazionale
d’Abruzzo Lazio e Molise non abbiamo dei dati analitici e certi sulla
dinamica di popolazione. Si tratta di una lacuna grave credo, tanto più
che il camoscio è una delle specie bandiera del Parco, che dovremo
al più presto colmare; già sono in corso delle ricerche ma per avere
dei dati bisogna che questi studi siano pluriennali. Ci sono, comunque,
da un lato, degli indicatori della complessiva stabilità, in termini numerici,
della popolazione, dall’altro riscontriamo dei fenomi da studiare
con attenzione: negli anni scorsi, ad esempio, è stata notata, anche
in Val di Rose, una certa scarsità di giovani. Dobbiamo capire anche
la possibile competizione che, a livello spaziale, può essersi instaurata
tra il camoscio e il cervo dal momento che nel Parco d’Abruzzo non
ci sono ambiti di alta quota dove si può compartimentare il camoscio
ma questi ambiti sono a stretto contatto con le zone frequentate dal
cervo. Si tratta di dati che, più che altro, suscitano sensazioni di
carattere epidermico che vanno sostanziate da adeguate ricerche;
è quindi nostra intenzione, e ci stiamo già muovendo in questa
direzione, potenziare l’attività di ricerca e di censimento per avere dati
sempre più importanti sulla popolazione.”.
Che prospettive ha questo ambizioso progetto di reintroduzione?
“Direi che le prospettive, a questo punto, sono quasi realizzate;
rimangono alcuni passi da fare, ma credo che si possa già parlare
di un successo: ritengo che i numeri che provengono dalla Majella
e dal Gran Sasso siano estremamente confortanti circa la dinamica
di popolazione e la correttezza delle scelte fatte in termini di ambienti
messi a disposizione degli animali. Ormai credo che questo si possa
annoverare fra i progetti di successo che il nostro Paese ha messo
in campo dal punto di vista della conservazione.
Noi andremo avanti per questa strada, come avete visto anche in questo
frangente. Riteniamo che sia un dovere primario del Parco Nazionale
d’Abruzzo , Lazio e Molise continuare a dare il proprio apporto per
questo progetto; è chiaro che ora la disponibilità di animali anche in altri
luoghi, o in aree faunistiche di altri parchi, rende anche possibile trovare,
in alcuni casi, delle alternative a queste operazioni che comunque,
come dicevo prima, hanno un loro grado di alea ed, alcune volte, anche
di pericolosità per gli animali che ne sono coinvolti. Vedremo magari
in futuro, per le ultime fasi delle operazioni, di tarare in maniera diversa,
se questo sarà necessario, gli apporti che le singole aree protette
potranno dare al progetto.
Credo, però, che per quanto rigurada il progetto complessivo, se noi
riusciremo anche il prossimo anno – e credo che non ci siano dubbi –
a completare il trasferimenti degli animali creando un nucleo vitale
importante anche nei Sibillini, avremo fatto qualcosa di estremamente
positivo.”.
Ha già anticipato la risposta alla domanda che stavo per farle e che,
forse, si aspettava: è parere diffuso tra gli studiosi della materia che più
gli animali vengono liberati in anni tra loro vicini, più aumentano le
possibilità di successo della reintroduzione; possiamo quindi aspettarci,
già dal 2009, altri camosci che andranno a completare la neo-colonia
dei Sibillini?

“Certo, noi siamo impegnati su questo fronte; quello che non posso
garantire è che gli animali effettivamente arrivino… non posso essere
così presuntuoso! So per certo che le difficoltà che si sono avute negli
anni precedenti non sono dipese da imperizia o scarso interesse per
l’operazione ma da condizioni oggettive che purtroppo in questi casi
si possono sempre verificare. Ho vissuto come “ricettore” e non come
“donatore”, se così si può dire, la reintroduzione dello stambecco in
Adamello, gli animali provenivano dal Parco delle Alpi Marittime, ed ero
già perfettamente conscio, prima di venire qui, delle difficoltà che ci
sono nel mettere in atto operazioni di questo tipo.
Le cose che possiamo assicurare sono due: primo, che quest’anno
abbiamo sperimentato un modello di collaborazione che ha dato
indubbiamente i suoi frutti; replicando questo modello tutta una serie
di problematiche di rapporti e di raccordi tra le varie istituzioni coinvolte
possono essere ridotte al minimo; secondo, che ci sarà il massimo
impegno dal punto di vista tecnico e operativo: tenga presente che nei
giorni in cui facevamo questa operazione erano presenti in val di Rose
circa 40 persone, di cui tre quarti erano personale del Parco Nazionale
d’Abruzzo Lazio e Molise. Un impegno notevole, quindi, che mettiamo
e metteremo con estremo piacere perché riteniamo che la battaglia della
conservazione debba essere giocata a livello globale e non chiudendosi
in sé stessi o rivendicando primati insesitenti.”.

Michele Sensini


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